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Ultreya

da Hornillos del Camino a Hontadas, inizia il cammino nella « temuta » meseta, altipiano desertico. Colture di grano ormai raccolto e campi di girasoli dritti, anneriti e secchi mi accolgono e segnano la monotonia del percorso . Delle pale eoliche all’orizzonte girano lente,   troppi« pellegrini » in mountain bike,  ti gridano « hola, e tu,  che eri assorta nei tuoi pensieri, sussulti, ogni volta ti spaventi e salti da parte, perché la maggior parte dei bikers non frena.

Faccio una piccola deviazione per visitare l’Arroyo San Bol, con la sua fonte di acqua fresca,  un'oasi già frequentata dai Templari. L’albergue é chiuso, non c’è anima viva. Peccato avrei volentieri bevuto una spemuta d'arancia. Proseguo, incontrando pellegrini stanchi che sostano sulla strada. D’incanto, dietro ad una curva  nel nulla appare Hontadas. Mi fermo in un ristorantino dove c’è frutta fresca e insalata, che gioia.
Senza volerlo ascolto la telefonata di un componente del gruppo di quattro francesi, che camminavano davanti a me. Chiedono un taxi subito, devono recarsi a Logroño al più presto, per rientrare in Francia a causa di gravi motivi famigliari. Siamo in un paesino fuori dal mondo, forse addirittura  dimenticato da Dio, come farà un taxi ad arrivare sin qui? 

Mi rimetto in marcia. C'é meno gente su questo tratto. Ciò invita alla riflessione. Penso ai migranti, ai  km a piedi, senz'acqua, nel deserto...le mamme con i bambini. Una fatica immane. La disperazione può dare forza, ma solo fino ad un certo punto. Immagino a coloro che non ce la fanno, che sono caduti nel deserto, e la sabbia portata dal vento ha ricoperto compassionevole i corpi, come un fine lenzuolo. 

Mancano ancora 477 km. La spalla e il braccio mi fanno sempre male. Non riesco a camminare più di 20-21 km al giorno. Se li supero inizio ad aver problemi di tendini e di piedi. Un passo dopo l'altro, poi si vedrà.

Mancano pochi km per arrivare a Castrojeriz. Il sentiero costeggia la strada nazionale. Appaiono le rovine dell'antico Monastero di San Anton, fondato nel 1146. Qui si curavano i pellegrini malati, ma soprattutto quelli che soffrivano del "fuoco di Sant'Antonio". Ora resta solo l'arco che formava una sorta di galleria dove entravano e uscivano i pellegrini.

 

Mi fermo all'albergue Ultreya, mi aveva colpito questa parola, la stessa dello studio di Sara, l'osteopata. L'Albergue é gestito da una coppia, José è un docente di matemativa in pensione. Ha passato la sua vita a Barcellona e da alcuni anni é ritornato in Castilla y Leon. Appasionato di storia, con molto gusto ha riattato la casa e le cantine. Mi spiega che "Ultreya" è il saluto al pellegrino e significa "andiamo oltre, andiamo avanti".  Deriva dal latino "Ultra" e "eia" , ovvero "più in là". Al saluti si rispondeva "et suseya", "andiamo più in alto". L'origine la si trova nel Codice Calixtino, la prima guida nella storia del Cammino di Santiago. Oggi il saluto é "Buen Camino".